Chievo di Redazione , 29/05/2019 11:27

SARTORI: CARO CHIEVO RESTO A BERGAMO

Giovanni Sartori, Ds Atalanta

E' il re Mida di provincia, Giovanni Sartori. Quel che tocca diventa oro: prima il Chievo, oggi l'Atalanta. Fresco della storica qualificazione in Champions League (“forse il risultato più importante della mia carriera” dice), quello che per anni è stato il deus ex machina del Chievo guarda già avanti: “Da oggi ci sarà da lavorare ancora di più, perché le aspettative della proprietà e dei tifosi cresceranno. Anche se sarà difficile ripetersi”. Una frase che, indirettamente, spegne anche le voci circolate a Verona su un suo possibile ritorno nel club della Diga.

Sartori, quindi non torna?

“Guardi, le voci che sono circolate a Verona non sono mai arrivate a Bergamo”.

Il Chievo è retrocesso male. Come l'ha vissuta?

“Con grande dispiacere. Anche se lavoro per l'Atalanta, il Chievo non si dimentica. Lì ho passato trent'anni, prima da calciatore e poi da dirigente. So quanto può aver sofferto Luca Campedelli e tutte le persone che ci lavorano. Mi auguro che possano tornare subito in A, grazie magari al paracadute e alla conferma di qualche giocatore che può fare la differenza”.

Tra questi non ci sarà Pellissier...

“Smettere di giocare è sempre difficile, poi per chi ha fatto una carriera nella stesso club come Sergio lo è ancora di più. Lui e De Rossi sono stati due addii molto importanti. Sono momenti difficili da vivere”.

Portò lei Pellissier al Chievo...

“Lui è stato uno dei miei migliori acquisti. Sergio è l'unico calciatore che mi ha sempre dato del tu, mi chiamava Giovanni e non direttore. Ci siamo confrontati sempre con lealtà e rispetto dei ruoli, anche quando eravamo su posizioni completamente opposte. Una volta abbiamo discusso per un ritiro anticipato, un'altra volta per un esonero di un allenatore che lui non condivideva. Ha sempre messo il Chievo davanti a se stesso, un grande capitano e uomo spogliatoio. Lo ringrazio per quello che mi ha dato. Ora pare che inizierà una nuova attività...”

Presidente operativo, o direttore sportivo. Non è forse troppo presto per lui?

“Non sapendo ufficialmente che ruolo coprirà non posso dire di cosa può aver bisogno o cosa gli può mancare. Certo, se dovesse fare il direttore sportivo dico che passare dal campo alla scrivania in dieci giorni non è facile”.

Lei ha avuto un inframezzo anche come allenatore...

“Io, smesso di giocare con il Chievo, prima ho affiancato Gianni Bui, poi ho avuto la fortuna di essere nominato consulente esterno del papà di Luca Campedelli. Questo mi ha permesso di girare e conoscere giocatori e allenatori, cosa che Sergio non ha ancora fatto”.

A Bergamo invece stanno impazzendo per la Champions...

“E' stata un'annata straordinaria. Prima la finale di Coppa Italia persa immeritatamente e ora il terzo posto e la qualificazione in Champions League. Ma io parlerei di triennio straordinario: il quarto posto due anni fa, il settimo l'anno scorso e ora il terzo. Risultati che premiano il lavoro della società, dello staff tecnico e dei giocatori”.

Quanto ha inciso Sartori?

“Questo lo deve chiedere agli altri. Credo che Gasperini sia stato fondamentale, lui ha fatto crescere la squadra mentalmente, tecnicamente e tatticamente, trasformandola da buon gruppo a gruppo eccellente. Per quanto mi riguarda abbiamo avuto la fortuna, e credo la bravura, di inserire in questo contesto buoni giocatori, grazie a un lavoro di scouting mondiale. Giocatori soprattutto stranieri perché il mercato italiano purtroppo è saturo e offre poco”.

Diceva che è il risultato più importante della sua carriera. Più dell'Europa con il Chievo e dello scudetto da calciatore con il Milan di Liedholm e Rivera?

“Sono importanti tutti e tre, ma con il Milan ero un attore non protagonista. I risultati con Chievo e Atalanta li sento più miei. Diciamo che in questi casi sono stato un attore un po' protagonista. Un po' lo scriva tra virgolette (Sartori ride, ndr)”.

E' all'Atalanta da cinque anni. Una piazza storica con una grande tifoseria. Com'è stato il cambiamento?

“Inizialmente ho vissuto una fase di apprendistato. Al Chievo io, il presidente e la società eravamo cresciuti insieme, qui mi sono dovuto calare in un gruppo già esistente. Si è trattato di capire in tempi brevi con chi lavoravo, le esigenze della proprietà e le aspettative di una tifoseria molto importante. Professionalmente nei primi due anni ho cambiato il mio modo di interpretare il ruolo”.

Cosa intende?

“Al Chievo passavo meno tempo con la squadra e giravo molto a vedere giocatori, qui nei primi anni ho fatto il contrario. Ma con l'arrivo di Gasperini ho potuto riprendere le vecchie abitudini: andare in giro a vedere e cercare giocatori, come facevo al Chievo”.

Con lei c'è il veronese Maurizio Costanzi, suo storico braccio destro anche a Verona e responsabile di un vivaio che all'Atalanta dai tempi di Mino Favini è fiore all'occhiello...

“Qua a Bergamo le aspettative della proprietà per il settore giovanile sono alte e gli investimenti ingenti. Di recente sono stati costruiti tre campi in più, una palazzina per gli uffici, una palestra e una sala conferenze. Costanzi sta lavorando magistralmente, dispone di uno staff numeroso. Anche i tifosi sentono il bisogno di avere ragazzi bergamaschi in prima squadra. Nei primi due anni abbiamo vinto due scudetti con giovanissimi e allievi, negli ultimi due siamo arrivati primi con la Primavera, l'anno scorso perdendo lo scudetto ai play off. Anche la prima squadra segue la politica dei giovani: da gennaio hanno esordito in serie A un 1999, un 2000 e un 2001”.

A Verona, sponda Hellas, fantastichiamo spesso su un modello Atalanta. E' possibile?

“Lo è, anche se è difficile ripetere quanto abbiamo fatto viste le grandi differenze di introiti che ci sono oggi tra i club di provincia e le big. Noi abbiamo il 14° monte stipendio della serie A, fatturiamo un quarto degli altri e siamo arrivati terzi. Secondo lei può succedere sempre? Siamo la mosca bianca, l'eccezione che conferma la regola”.

Dicevamo del Verona...

“Può diventare un'Atalanta, ma non è facile. Deve esserci tutta una serie di cose positive che si combinano: la proprietà, gli investimenti, la scelta dei giocatori. E' un percorso lungo e duro che non si fa dall'oggi al domani. L'Atalanta ha una proprietà, la famiglia Percassi, che in questi anni ha investito molto. Sarebbe bello per il calcio che qualcuno ne ricalcasse le orme”.

Il Verona un mese fa era una squadra morta, oggi si gioca la finale play off. Ci va in A?

“Ha ragione, è quella che è arrivata peggio ai play off. Però, come spesso succede, proprio perché è in rincorsa potrebbe farcela sul filo di lana. Aglietti? Ha inciso, lo dicono i risultati, che sono la cartina di tornasole di tutto”.

FRANCESCO BARANA